Loading...

Gli anni di Cartagine

Agostino di Ippona - Storia di un ritorno

Passa quell'anno turbolento e Agostino riprende gli studi. I mezzi necessari per andare a studiare a Cartagine glieli fornisce Romaniano, un ricco signore di Tagaste, suo amico. Giunto finalmente alla sospirata città, Agostino, insieme allo studio, vuole sperimentare tutte le cose che la mamma Monica, lo immaginiamo, gli aveva raccomandato di evitare. La città è piena di vita e di passioni sfrenate. La gente vuole godere senza preoccupazioni e Agostino cade in pieno in questo giro. "Giunsi a Cartagine e dovunque intorno a me rombava la voragine degli amori peccaminosi. Non amavo ancora, ma amavo di amare e con più profonda miseria mi odiavo perché non ero abbastanza misero. Desideroso di amore, cercavo un oggetto da amare e odiavo la sicurezza, la strada esente da tranelli. Avevo dentro di me un appetito non sensibile al cibo interiore, a te stesso, Dio mio. Ma non me ne rendevo conto. Malattia della mia anima: coperta di piaghe, si gettava all'esterno con la bramosia di sfregarsi miserabilmente a contatto delle cose sensibili, che pure nessuno amerebbe se non avessero un'anima. Amare ed essere amato mi riusciva più dolce se anche il corpo della persona amata potevo godere. Così inquinavo la polla dell'amicizia con le immondizie della concupiscenza, ne offuscavo il chiarore con il Tartaro della libidine. Sgraziato, volgare, smaniavo tuttavia, nella mia straripante vanità, di essere elegante e raffinato. Quindi mi gettai nelle reti dell'amore, desideroso di esservi preso. Dio mio, misericordia mia, nella tua infinita bontà di quanto fiele non ne aspergesti la dolcezza! Fui amato, raggiunsi di soppiatto il nodo del piacere e mi avvinsi giocondamente con i suoi dolorosi legami, ma per subire i colpi dei flagelli arroventati della gelosia, dei sospetti, dei timori, dei furori, dei litigi" (Conf. III,1).

A Cartagine Agostino è preso anche da una forte passione per gli spettacoli teatrali. “Mi attiravano gli spettacoli teatrali, colmi di raffigurazioni delle mie miserie e di esche per il mio fuoco. Come avviene che a teatro l'uomo cerca la sofferenza contemplando vicende luttuose e tragiche e che, se pure non vorrebbe per conto suo patirle, quale spettatore cerca di patirne tutto il dolore, e proprio il dolore costituisce il suo piacere? Miserevole follia, non altro, è questa. Si apprezza tanto più l'attore di quelle raffigurazioni quanto più si soffre; e se la rappresentazione di sventure remote nel tempo oppure immaginarie non lo fa soffrire, lo spettatore si allontana disgustato e imprecando. Se invece soffre rimane attento e godendo piange." (Conf. III,2).

Continua intanto la scuola di retorica per diventare avvocato, o professore, di grido. È il primo in una scuola di vanità. Però non riesce ad essere spietato come altri suoi compagni. "Anche gli studi nobili, come erano chiamati, avevano il loro sbocco nel foro litigioso, cioè miravano a rendermi eccellente ove tanto più si è lodati quanto più si è imbroglioni. La cecità degli uomini è così grande che persino della propria cecità si gloriano! Ormai ero il primo alla scuola di retorica e ne provavo una gioia superba, mi gonfiavo di vento, sebbene rimanessi affatto estraneo ai disordini provocati dai perturbatori dell'ordine fra i quali vivevo. Nella mia impudenza serbavo dunque un certo pudore, se non ero come loro. Mi trovavo con loro, mi piaceva talvolta la loro compagnia, ma le loro imprese mi ripugnavano sempre, i disordini in cui perseguitavano spavaldamente la timidezza dei novellini e li atterrivano con le loro burle non ad altro intese che a pascere il loro maligno desiderio di divertimento" (Conf. III,6). Ripensando alla dura vita delle matricole nelle nostre Università, è proprio il caso di dire: niente di nuovo sotto il sole.

“Ancora in quegli anni tenevo con me una donna, non posseduta in nozze, come si dicono, legittime, ma scovata nel vagolare della mia passione dissennata; una sola, comunque, e a cui prestavo per di più la fedeltà di un marito. Sperimentai tuttavia di persona, in questa unione, l'enorme divario esistente fra l'assetto di un patto coniugale stabilito in vista della procreazione, e l'intesa di un amore libidinoso, ove pure la prole nasce, ma contro il desiderio dei genitori, sebbene imponga di amarla dopo nata" (Conf. IV, 2).

 

Indietro Avanti